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L´Unificazione a Foggia: la relazione di Vitulli

Se ne e´ parlato al terzo appuntamento delle "Domeniche con la Storia"
Come hanno vissuto la Capitanata e Foggia i giorni culminanti dell´unificazione, nel 1861? Lo ha raccontato il dott. Antonio Vitulli, al terzo appuntamento delle “Domeniche con la Storia”, il ciclo di incontri organizzato dalla Fondazione Banca del Monte “Domenico Siniscalco Ceci” di Foggia, giunto alla seconda edizione e quest´anno dedicato alle vicende del 1860 in Capitanata, in occasione del 150enario dell´Unita´ d´Italia.
Dopo l´introduzione del Presidente della Fondazione, Francesco Andretta, e del prof. Saverio Russo, Antonio Vitulli ha iniziato a raccontare “I giorni dell´unificazione in Capitanata – Dal 7 settembre al 28 ottobre 1860”.
I giorni, cioe´, che vanno dall´ingresso di Garibaldi a Napoli, in qualita´ di “dittatore” pro tempore in nome di Vittorio Emanuele”, e la celebrazione del plebiscito di annessione al regno piemontese di quello delle Due Sicilie.
“E´ un periodo paragonabile ai 100 giorni di Napoleone”, ha detto Vitulli, per l´importanza che ebbero nella storia di quegli anni.
Vitulli si e´ rifatto ai documenti dell´Archivio Stato di Foggia e al Giornale Patrio Villani, il diario dei componenti della famiglia foggiana di giureconsulti e letterati Villani che fu stilato tra inizio ‘800 e inizio ‘900.
Sabato 8 settembre 1860, il Giornale Patrio raccontava che, a Foggia: “Al far del giorno si e´ inteso uno slancio di grida di gioia per tutte le strade accompagnate da frastuono di bande musicali, e di evviva il generale Garibaldi, viva Vittorio Emanuele, viva l´Italia, viva la liberta´”.
Domenica 9: “Quel de´ due squadroni di Dragoni che era qui, parti´ giorni addietro dicendo che andava in Salerno; ma quindi si e´ conosciuto che si finse una partenza per evitare l´incontro della truppa che veniva da Bari... E poiche´ detti Dragoni sono ritornati oggi da Candela ove stavano nascosti, cosi´ e´ uscita incontro ad essi la nostra guardia nazionale con un immenso popolo con le bandiere tricolorate in mano, gridando come ieri, e festeggiando in modo che ha scandalizzato la gente onesta, e sana, vedendo specialmente che que´ soldati, che vestono tuttavia l´uniforme, le arme e tengono i cavalli di quel Sovrano, che fin´oggi li paga, gridavano viva Vittorio Emanuele, viva Garibaldi, fuori la famiglia Borbone... Si sono fatte abbassare anche tutte le armi reali che erano su gli edifizi pubblici, lotterie ed altri luoghi”.
Giovedi´ 13: “E´ incredibile la folla de´ giovani, ed uomini ancora, che si presentano volontariamente al Maggiore del Dittatore Garibaldi, che e´ qui, per arrolarsi alle di lui truppe, senza punto sentirei pianti delli genitori, e parenti e delle mogli ancora che non vorrebbero perderli”.
Mercoledi´ 26: “... si e´ andato incontro al novello Governatore sig. don Gaetano del Giudice, ... di Piedimonte di Alife [ma di famiglia originaria di Foggia], nominato in vece del sig. don Giuseppe Ricciardi [foggiano, mazziniano, massone, era stato eletto deputato per la Capitanata dopo la rivolta del 1848 e, con la reazione, condannato a morte in contumacia, nel 1853, dal governo borbonico], che non volle accettare”.
Il 7 ottobre si celebro´ il primo mese dall´ingresso di Garibaldi a Napoli. Insomma, dice Vitulli, il trapasso da uno all´altro regime fu abbastanza pacifico e apatico, in fin dei conti accolto con indifferenza dalla cittadinanza. Le manifestazioni di entusiasmo erano piu´ che altro espressioni di atteggiamento servile, come si desume dalle lettere dense di mielosi elogi a Garibaldi inoltrati da molti sindaci della provincia indirizzate al nuovo intendente, il Consigliere decano d´Intendenza, Don Pietro De Luca, che poi cedette il posto al Governatore del Giudice.
Il regno borbonico fini´ in maniera caotica e ingloriosa, dice Vitulli, ma lascia perplessi la scarsa resistenza e la fuga dei vecchi vertici amministrativi. Guardando piu´ a fondo, pero´, soprattutto leggendo gli elenchi dei funzionari pubblici prima e dopo l´impresa garibaldina, molto simili, ci si rende conto che –come si dice nel “Gattopardo”- si cambio´ tutto per non cambiare alcunché. Una sorta di ipotesi di complotto, insomma.
In realta´, dice ancora Vitulli, il cambiamento avvenne davvero perché –secondo l´interpretazione di Benedetto Croce- ci fu il “distacco in idea” tra la monarchia borbonica e il popolo e venne accolta invece la nuova funzione di una popolazione fattiva che controllava i gangli politici ed economici del regno.
In quel periodo nel regno era forte l´influenza del Comitato d´Azione che faceva capo al Ministro Ricciardi –foggiano- e a Zuppetta e, a Foggia, a Saverio Salerni. Era marchese di Rose ed anche gran maestro della Massoneria e questa fu uno degli elementi piu´ importanti della politica cittadina dal periodo murattiano all´epoca fascista. D´altra parte, anche a livello piu´ “nazionale” la massoneria del Grande Oriente vantava aderenti che occupavano posti chiave nella politica dell´epoca, come gli stessi Ricciardi e Zuppetta, Valentini e De Sanctis: una massoneria che “guardava a sinistra” piu´ di quella che faceva capo anche ai Savoia.
A “destra”, invece, guardavano il Clero ed esponenti dell´aristocrazia come i Cimaglia, i Freda, i Filiasi, i Celentano e i Saggese o dell´alta borghesia latifondista come i Della Rocca: questa fazione era, pero´, restata in prudente attesa.
In ogni caso, solo una minoranza della popolazione foggiana partecipava attivamente alla lotta politica.
Gli eventi precipitarono in agosto, durante la festa dell´Iconavetere. L´Intendente Bagnoli [Nazario Sanfelice, Duca di Bagnoli; n.d.cur.] era andato a rifugiarsi a Bovino con la famiglia. Per sostituirlo –a dimostrazione della forte posizione di potere rivestita dalla borghesia agraria- il Ministero degli Interni designa un rappresentante di quel ceto, don Pietro de Luca. Un contributo al mantenimento dell´ordine, in quella situazione di confusione, lo diedero le truppe regolari, comandate da Flores [il maresciallo di campo Filippo Flores, n.d.cur.], che impedirono l´adesione della provincia ai moti pro-garibaldini.
A mettere un punto fermo ci pensa Garibaldi (che il 7 settembre era entrato a Napoli e aveva assunto la dittatura sul regno), nominando Intendente per la Capitanata Gaetano Del Giudice, che faceva parte di quella schiera di democratici scelti dal generale per occupare i vertici amministrativi al sud. Su Del Giudice c´e´ un giudizio discorde. C´e´ chi pensa che fosse una scelta politica troppo radicale da parte di Garibaldi; per di piu´, sotto il suo mandato si verificarono le rivolte contro-rivoluzionarie e fiori´ il brigantaggio. “E´ vero”, dice Vitulli, “ci furono rivolte, ma si tratto´ di fatti di scarso rilievo, seppure alcuni sfociati in episodi di inaudita ferocia. Il problema piu´ grave, pero´, fu che pochi giorni dopo il suo arrivo la situazione economica precipito´”.
Come che sia, il 21 ottobre si voto´ per il plebiscito sull´eventuale annessione del regno delle Due Sicilie a quello del Piemonte. Il risultato era scontato in partenza, anche per le modalita´ in cui avvenne il voto. In provincia vinse a mani basse il partito sabaudo in tutti i centri, tranne a Poggio Imperiale e a Lesina dove si affermarono in borbonici e a San Marco in Lamis e San Giovanni Rotondo dove i cittadini si rifiutarono di votare. I voti nella provincia furono 54.256 per l´annessione, 996 contrari. In tutto il Sud, si registrarono 1.302.064 si´ e appena 10.312 no.
Il risultato non fu accettato pacificamente in Capitanata. Ci furono tumulti a San Marco, San Giovanni, Cagnano, Sannicandro, Accadia ed Acoli Satriano. Del Giudice la defini´ “resistenza accanita e lotta sanguinosa” e chiese di inviare a Foggia da 3 a 400 piemontesi al comando del generale Romano, che applico´ la repressione in maniera crudele.
Il 9 novembre, Garibaldi lascio´ la dittatura e riparti´ alla volta di Caprera. Il potere passo´ a Liborio Romano il quale, l´11 novembre fece pubblicare l´ordine di applicazione degli statuti sabaudi anche nelle regioni del Sud.
I piemontesi –dice Vitulli- commisero allora una serie di innegabili errori politici. Ad esempio, Vittorio Emanuele continuo´ a farsi chiamare “Secondo” e non “Primo”: cosi´ diede segno che si era trattato di una annessione e non della nascita di una nuova entita´ politica da lui controllata, con evidente supremazia del Nord rispetto al Sud. Stesso discorso per la Legislatura che nacque con le successive elezioni, che fu definita “Ottava” e non “Prima”, nonché per l´estensione a Sud dell´applicazione delle leggi sabaude, che fece nascere gli squilibri tra Settentrione e Mezzogiorno che ancora scontiamo.
I mesi che seguirono, al Sud, furono di attesa e scontento. La Sinistra, nelle sue varie sfaccettature, era delusa dall´esclusione dal potere che aveva subito a Napoli ad opera di Cavour e si era compattata nel “Partito d´Azione” mazziniano. Questo era tenuto sotto stretto controllo da Cavour e dai militari piu´ che i filo-borbonici e il brigantaggio. Tutti contrasti che avevano riflessi anche a Foggia, tra gli esponenti locali di queste fazioni.
La cosa certa fu che il potere resto´ saldamente nelle mani della borghesia che aveva avuto, in un senso o nell´altro, un ruolo determinante nel cambiamento di dominio nel Regno delle Due Sicilie.

Dopo la relazione del dottor Vitulli, le conclusioni del Presidente Andretta. “Il cambio di dinastia regnante”, ha detto, “come abbiamo potuto sentire, e´ ‘scivolato´ via quasi senza essere percepito. La cittadinanza foggiana ha assunto un atteggiamento quasi ‘sonnacchioso´ in quei giorni. Ma, se vogliamo vedere con obiettivita´ a cio´ che accadde, non possiamo non constatare che ci fu la ‘piemontesizzazione´ che tanto oggi viene contestata. Fatto sta che non e´ facile applicare i criteri di valutazione di oggi a quell´epoca e che, comunque, a noi interessa raccontare la storia di Foggia negli anni dell´Unificazione, piu´ che esprimere giudizi di valore”.
 
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