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Inserita il: 23/01/2011

“Territorio e infrastrutture in Capitanata”: la relazione - Prima parte

La sintesi della relazione del prof. Russo alle "Domeniche con la Storia"
“Territorio e infrastrutture in Capitanata” durante il Risorgimento e il processo di unificazione della Penisola. Ne ha parlato il prof. Saverio Russo, docente di Storia Moderna all´Universita´ di Foggia, nel settimo appuntamento del ciclo “Domeniche con la Storia” 2010/2011, organizzato dalla Fondazione Banca del Monte “Domenico Siniscalco Ceci” di Foggia.

Ad introdurre l´intervento del prof. Russo, che e´ anche Consigliere di amministrazione della Fondazione, il Presidente, avv. Francesco Andretta.

“Leggevo in questi giorni”, ha detto Andretta, “delle polemiche che, nel 1961, si concentrarono attorno alle celebrazioni del centenario dell´Unita´ d´Italia in Capitanata. Mario Simone, personaggio di spicco della Cultura foggiana, descriveva quello che era successo a Foggia. Si lamentava che la provincia di Foggia aveva partecipato all´Esposizione celebrativa di Torino solo con un banchetto nello spazio della Regione e raccontava che poche altre erano state le iniziative: a Manfredonia era stata posta una lapide al Comune; a San Giovanni Rotondo una piccola mostra dell´Archivio di Stato; c´era stata qualche pubblicazione, come la riedizione da lui stesso curata della “Cronistoria di Foggia (1848-1870)” del Villani e qualche conferenza, come quelle tenute a Foggia dai proff. De Miro e Regina (il noto Preside del Liceo Classico), e a San Marco e Manfredonia dal prof. Soccio; a Torino e poi a Lucera, aveva tenuto un forbito discorso l´on. Petrilli, Presidente del Consiglio di Stato, conterraneo assurto agli onori della Magistratura. Le cerimonie, insomma, diceva Simone, furono ben poche e poco sentite”.
“In realta´”, ha aggiunto Andretta, “anche oggi in provincia di Foggia non ci sono tante celebrazioni sul 150enario. Una cosa, rispetto ad allora, pero´, e´ diversa: nessuno era professore universitario. Nelle iniziative della Fondazione, invece, la caratteristica e´ proprio la presenza massiccia di docenti universitari, come il prof Russo, docente di Storia Moderna all´Universita´ di Foggia, che parlera´ nell´incontro di oggi”.

LA RELAZIONE DEL PROF. RUSSO
“Il tema della mia relazione puo´ sembrare una tematica in qualche modo neutra rispetto ai temi politici toccati finora durante le ‘Domeniche con la Storia´. Non mi sottraggo alla querelle che ha caratterizzato finora la ricorrenza del 150° anniversario dell´Unita´, soprattutto al Sud, tra chi recrimina e chi difende acriticamente le ragioni dei vincitori.
Certo e´ un tema che non si puo´ legare strettamente al periodo cronologico dell´unificazione. Parlando, ad esempio, di assetto del territorio, non possiamo parlare del 1860 come una data ‘spartiacque´. E tuttavia e´ un tema che come gli altri ha bisogno di una forte contestualizzazione e quindi ci riportera´ alla discussione scatenatasi in questi mesi –a mio giudizio, piuttosto scompostamente- e ai suoi ‘temi forti´.
Oggi parlero´ di quattro questioni: lo sviluppo delle linee ferroviarie; l´assetto idro-geologico del territorio; le altre infrastrutture, porti e viabilita´; il territorio come fattore di produzione.
Partiamo con le ferrovie.
Nel 1994, Franco Mercurio, in uno studio pubblicato su una rivista che si chiama “Meridiana”, scriveva che e´ un dato incontrovertibile che il treno e´ stato una potente metafora dell´unita´ politica. Mercurio citava il nostro conterraneo –perlomeno di origini- Ruggero Bonghi, che intervenendo piu´ volte alla Camera, ribadiva l´importanza della estensione della rete ferroviaria per ‘fare gli Italiani´. Bonghi diceva alla Camera nel 1862: ‘se l´Italia e´ stata fatta con le armi, possiamo fare gli Italiani con le ferrovie´. L´importanza che il nuovo governo annetteva alle ferrovie venne piu´ volte ribadito. Il fiorentino Ubaldino Peruzzi, Ministro dei Lavori Pubblici, in un intervento del 1861, bollava la chiusura di Ferdinando II di Borbone che, scrive, ‘ha circondato il suo paese di una muraglia come la China [sic]´, per rimarcare l´arretratezza della rete ferroviaria meridionale di allora, la quale non era connessa con le grandi reti peninsulari. In effetti, la politica borbonica rispetto alle ferrovie fu inconcludente e incerta. A lungo si discusse se fosse piu´ opportuno un sistema chiuso, centrato su Napoli, ed uno articolato in tutto il Mezzogiorno. Il primo tronco ferroviario fu costruito tra Napoli e Portici [nell´immagine, l´inaugurazione], poi fu proseguito fino a Castellamare di Stabia e in seguito fu realizzato un altro ramo verso Caserta. Al momento dell´Unita´, pur essendo stati i Borbone pionieri delle ferrovie, la rete del Sud arrivava a 130 km, quelle del Nord a 2186 km. Francesi e Inglesi auspicavano che la rete del Sud fosse diffusa, per favorire il trasporto delle merci ai porti del versante adriatico che erano utili al commercio che quelle grandi potenze avevano con il bacino mediterraneo e l´Oriente attraverso il canale di Suez. Tra le alternative, i borbonici non presero posizioni: furono chieste molte concessioni ma non furono onorate. Proprio il nostro Carlo Villani ricorda che tra gli ultimi atti di governo dei Borbone ci fu una concessione ferroviaria, alla fine di giugno del 1860, che risolveva la diatriba sui tracciati ma che fu vanificata dalla caduta del Regno. Il 20 novembre 1863 il treno proveniente da Pescara entro´ nella stazione di Foggia. Si dovette aspettare ancora qualche anno –fino al 1870- per il collegamento con Napoli, perché si discusse a lungo sul tracciato piu´ opportuno. Per i Piemontesi, dunque, la funzione simbolica delle ferrovie consisteva nell´indicare l´avvenuta unificazione.
Le altre questioni di cui parliamo oggi vedono uno scenario piu´ ‘sfumato´: non si puo´ identificare chiaramente un ‘prima´ e un ‘dopo´, una identificazione netta di cio´ che e´ positivo o negativo.
Parliamo, allora, dell´assetto idrogeologico territorio.
La nostra provincia, come altre pianure del Mezzogiorno e del centro della Penisola, presentava vaste aree di degrado: paludi malariche occupavano gran parte della fascia costiera da Manfredonia fino all´Ofanto, coi laghi impantanati di Salso, Versentino e Salpi. Una situazione che risaliva a secoli prima.
A cavallo dell´Unita´, poi, si moltiplicano le segnalazioni sulle frane, in provincia, a causa dei disboscamenti inconsulti che erano stati realizzati in un arco di tempo lungo che va dal 1764 –l´anno della carestia, della fame, della crisi di mortalita´, per cui si diffonde il panico e si dissoda la terra per avere nuove aree coltivabili- fino all´Unita´. Col decennio francese c´era stato un argine: c´erano grandi tecnici delle bonifiche che introducono concetti importanti, come il brindisino Teodoro Monticelli che rimarca l´importanza di coordinare gli interventi sulla pianura con quelli in montagna; c´era una severa limitazione della possibilita´ di limitare il disboscamento. Nel 1826 venne approvata una legge molto permissiva riguardo al taglio degli alberi nei terreni in pendio. Vaste frane cominciano a interessare zone del nostro Subappennino. Le falde di colline e monti sono state sconsideratamente coltivate e le precipitazioni portano a valle le deboli argille.
I decenni precedenti, dal punto di vista idrogeologico, non erano stati inutili. Nel 1813, durante il governo murattiano, si decreto´ la necessita´ di arginare i torrenti della nostra provincia. La caduta di quel regime rendera´ inutile il decreto ma nel 1818, al ritorno dei Borbone, il Corpo di Ponti e Strade specializzato in interventi infrastrutturali, redige il progetto di arginazione e ne avvia l´esecuzione, finanziato in parte con fondi statali, in parte provinciali, con i ‘ratizzi´, le quote cui erano tenuti i proprietari delle aree interessate. Tuttavia, questo intervento che si poteva dire finito nel 1847, fu vanificato tra la fine degli anni ´40 e l´inizio dei ´50. Si dovette ammettere nel 1855 che l´opera non aveva raggiunto lo scopo perché molti proprietari non avevano pagato il loro ‘ratizzo´, avviando anche un contenzioso con lo Stato, come fece una grande famiglia dell´aristocrazia foggiana, i Freda. Insomma, non si fa manutenzione delle opere e, dopo una alluvione nel 1847 che sfondo´ gli argini, questi non vennero riparati.”.

SEGUE...
 
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