Il professor Galasso sull´identita´ italiana (Prima parte)
La chiusura delle "Domeniche con la Storia" 2010/2011 Una chiusura eccezionale ed in grande stile, per gli incontri delle “Domeniche con la Storia” organizzate dalla Fondazione Banca del Monte per il secondo anno consecutivo.
Eccezionale per la collocazione, nel corso della settimana, ma anche per la presenza di uno dei maggiori storici italiani, il prof. Giuseppe Galasso.
Nell´introduzione, il Presidente della Fondazione, avv. Francesco Andretta, ha sottolineato l´importanza della scelta di celebrare, per questo ciclo delle “Domeniche”, l´Unita´ d´Italia, raccontando cosa avvenne nel territorio foggiano durante il suo compiersi.
Gli incontri su questo tema hanno suscitato dibattiti appassionati, rispecchiando quello che sta avvenendo oggi in tutta la Penisola, tra quanti ritengono che l´Unita´ e´ stato comunque processo utile alla Nazione italiana e quanti contestano ancora le modalita´ con le quali venne realizzata.
“Abbiamo spesso registrato”, ha detto Andretta, “interventi di esponenti del pubblico piuttosto concitati, spesso ‘settari´, ma anche caratterizzati da un nozionismo incerto che mal si sposa con il rigore scelto dalla Fondazione nell´organizzare questa iniziativa”.
“In apertura”, ha ricordato Andretta, “abbiamo voluto offrire al pubblico la visione di chi contesta l´unificazione, presentando il volume di Pino Aprile ‘Terroni´. Questa lettura del Risorgimento ha ricevuto un riscontro inusuale; su un centinaio di presenti, sono stati vendute ben 45 copie del libro!
Nelle relazioni seguenti, comunque, abbiamo sottolineato, assieme agli oratori illustri intervenuti, che quella di Aprile e´ una delle letture possibili che va´ necessariamente affiancata e confrontata con altre”.
“Cosi´”, ha concluso Andretta, “per dare una visione consuntiva di grande spessore, abbiamo chiesto sin dall´inizio al prof. Galasso di chiudere il ciclo delle ‘Domeniche´. A lui vanno i nostri ringraziamenti, perche´ un suo contributo e´ insostituibile per comprendere meglio il processo di formazione del nostro Stato”.
A seguire, il Prof. Saverio Russo, Ordinario di Storia Moderna all´Universita´ di Foggia e Consigliere di Amministrazione della Fondazione, ha tracciato un breve “curriculum” del grande storico partenopeo.
“Cerchero´”, ha detto Russo, “di contenere la descrizione dei grandi meriti culturali del prof Galasso, impresa non facile. Il professore e´ autore di numerosissime monografie, di grandi imprese editoriali: ricordo appena due opere fondamentali la ‘Storia del Mezzogiorno´ curata insieme a Rosario Romeo, e la ‘Storia d´Italia´ Utet di cui proprio qualche settimana fa e´ uscito l´ultimo volume scritto dal professore. E´ stato per 30 anni Presidente della Societa´ Napoletana di Storia Patria, e´ stato Presidente della Biennale di Venezia, e´ Accademico dei Lincei. Ha avuto una lunga stagione di impegno politico, che ancora dura per lo meno come osservatore dei fatti della politica nazionale: Consigliere per 23 anni e poi Assessore alla Pubblica Istruzione al Comune di Napoli, Deputato per tre legislature, Sottosegretario ai Beni Culturali e Ambientali e in tal veste artefice della famosa Legge Galasso, la 431/´85, il primo argine per difendere il paesaggio italiano: legge che si sta cercando in questi anni di aggirare in ogni modo. E´ editorialista di numerosi giornali e riviste –ricordo le collaborazioni con ‘il Mattino´, ‘Il Corriere della Sera´, ‘Espresso´, ‘la Stampa´. Un testimone del nostro tempo, un intellettuale da cui tutti noi abbiamo appreso molto e che anche questa sera ascoltiamo con l´interesse che riesce a suscitare con le sue lezioni.
Il professore parlera´ dell´identita´ italiana: un tema leggermente diverso dalla scansione che abbiamo dato ai nostri incontri e credo che emergeranno, anche attraverso la lettura che fara´ questa sera, elementi che si legano alla querelle politico-culturale di questi mesi”.
La relazione del prof. Galasso.
“Parlero´ di un tema tutto diverso da quelli ricorrenti in queste celebrazioni del 150enario dell´Unita´ italiana. Il titolo “L´identita´ italiana” vi sara´ familiare perche´ da una trentina di anni non si contano piu´ le pubblicazioni su questo tema.
Sembra incredibile che in un grande Paese come l´Italia ci si ponga con tanta evidenza e con tante variazioni il tema della propria identita´, quasi che non ci fosse un´identita´ italiana evidente e che questa fosse tutta da chiarire, precisare, delimitare: evidentemente, pero´, c´e´.
Naturalmente, se vengono scritti tanti libri sul tema, ci deve essere un problema: se si riflette tanto su un argomento, o lo si fa per pura fantasia o perche´ c´e´ qualcosa che ci spinge; in questo caso, il qualcosa c´e´ e lo vedremo.
Pero´ e´ sorprendente –o forse non lo e´ affatto- che in tutta questa discussione grandissima parte di cio´ che e´ stato edito e´ stato un inutile spreco di carta privo di contenuti: per fortuna, una parte “buona”, nel senso che solleva questioni meritevoli di riflessione, esiste. E pero´ e´ una letteratura largamente viziata da un pregiudizio che fa molta parte della nostra coscienza quotidiana, e cioe´ che l´Italia sia un´anomalia nel quadro delle nazioni europee: sarebbe –come diceva il titolo di un mio libro- una “nazione difficile”, mentre le altre nazioni del continente sarebbero “facili”.
In realta´, basta pensare alla Spagna con tutte le lotte interne, all´Inghilterra dove tra Scozzesi, Gallesi e Irlandesi ne hanno fatte e subite di tutti i colori. Potrei continuare con la Francia, cioe´ il Paese al quale piu´ si riconosce e si annette un valore di esempio di Stato nazionale.
Questa idea della “anomalia italiana”, a chiunque guardi le cose con un minimo di obiettivita´, e´ un pregiudizio inconsistente. Innanzitutto per una ragione: chi guarda alla storia dell´Europa –nel cui contesto si sviluppa quella italiana- vede che c´e´ un assoluto parallelismo tra le storie nazionali.
Seconda considerazione: non esiste un modello di Stato nazionale che valga per tutti. Ogni stato nazionale e ogni nazione si costruisce la propria identita´ nazionale e la propria forma nazionale e sono tutte valide, anche se sono tutte diverse: il modo di essere nazione della Francia e´ diverso da quello della Germania, dell´Inghilterra, della Spagna e dell´Italia. Quindi, non c´e´ un´anomalia italiana nel quadro delle storie nazionali europee: ogni nazione e´ modello nazionale a se stessa.
Il valore comune della nazione esiste, ma ognuno l´ha svolto e lo svolge secondo i propri moduli e le proprie particolarita´ storiche.
Questo assoluto parallelismo non e´ una nostra scoperta moderna: e´ una convinzione che risale a moltissimo tempo addietro e che storicamente e´ facilmente controllabile, perche´ tutte queste nazioni europee nascono dalla dissoluzione dell´Impero Romano, dall´arrivo dei popoli germanici e poi anche slavi in quell´area e nella restante parte del continente che non era stata conquistata e romanizzata. Sono nazioni che maturano molto rapidamente –in termini storici: innanzi tutto, nell´area che era stata “romana”, intorno al Mille, si parla gia´ di Italia, Francia, Inghilterra, Spagna, Germania come nazioni gia´ formate. Ben presto, dopo il Mille, si comincia a parlare man mano di Polacchi, Cechi, Ungheresi, Romeni, Russi. E io credo che quando si parlava di queste entita´ politico-culturali, si sapesse quello che si diceva. Faccio un esempio. Federico I Barbarossa scese nel Nord Italia per tentare di ristabilire l´autorita´ dell´Impero sui comuni di quell´area e si porto´ dietro un suo zio l´arcivescovo Ottone di Frisinga, che poi scrisse una cronaca di quell´impresa. Ottone scrisse che gli “Itali” avevano costumi tutti diversi da quelli dei Germani, avevano citta´ vere e proprie con strutture piu´ complesse di quelle germaniche che si delinearono solo dopo il Mille. Quindi Ottone distingue tra tedeschi e italiani in base ad una referenza civile, quali sono le citta´ e la vita cittadina, abbastanza eloquente. Quindi, che vi fossero realta´ nazionali che si sviluppavano parallelamente e diversamente, gli europei lo sapevano gia´ mille anni fa.
Ecco perche´, quando si cita quel detto di Massimo D´Azeglio –che non e´ neanche certo fosse suo- “fatta l´Italia, bisogna fare gli Italiani”, si cita un detto eminentemente sbagliato. E´ tutto il contrario: gli Italiani c´erano gia´ da tempo, era l´Italia –come stato unitario moderno, come entita´ politica e civile- che non c´era.
Bisogna, poi, notare che nessuna di queste nazioni europee di “area latina” e´ nata “bella e formata”: tutte sono formazioni nate nel tempo e sono in continua formazione, determinando anche sentieri di formazioni nazionale che si sono continuamente differenziati nel tempo.
Faccio un paio di esempi.
Parliamo della Spagna, della sua “monarchia nazionale”, -termine tanto caro ai manuali di Storia che, giunti al ‘400 dedicano un capitolo, ma oggi come oggi un paragrafo, alle monarchie nazionali di Francia, Inghilterra e Spagna- importante. Ebbene, il regno spagnolo e´ nato dalla fusione di due “corone”: quella di Castiglia e quella d´Aragona. Ma, fino all´ultimo fu in dubbio se non dovesse nascere, piuttosto, una congiunzione tra Castiglia e Portogallo. Avremmo potuto avere –espressione che per uno storico e´ priva di senso, ma lasciatemela passare- una nazione spagnola castigliano-lusitana.
Altro esempio. Al confine tra le attuali Spagna e Francia, per lungo tempo, ci fu una formazione politica, la contea di Tolosa, in avanzato stato di formazione, che avrebbe potuto costituire una “nazione” diversa da Francia e Spagna. Poi, la Francia settentrionale con la “Crociata” contro gli Albigesi, conquisto´ la Provenza e il Regno di Francia acquisto´ una forma nazionale paragonabile a quella che conosciamo ancora oggi.
C´e´ un altro canone storico importante di cui si deve tener conto: ciascuna nazione ha avuto una sua forma ed identita´ particolari legate al periodo storico che si esamina. Era, cioe´, una nazione definita e completa quale poteva essere in quel momento particolare, pur non avendo, in quel momento, parti di territorio che avrebbe avuto in seguito o avendone altre che avrebbe poi perso.
Lo era anche la nazione italiana, ad esempio, nel XII secolo. Lo era tanto che, intorno all´anno 1200, appare nella lingua italiana un nuovo nome nazionale, un nuovo termine per indicare gli abitanti della Penisola. Fino ad allora, questi avevano portato nomi vari: Romani, Itali, Italici, Lombardi (molto diffuso grazie alla conquista longobarda: la Rue des Lombards di Parigi e la Lombard Street di Londra sono, in realta´, dedicate agli Italiani, cosi´ detti perche´ la Penisola fu a lungo per gran parte occupata dai Longobardi). Si sapeva, pero´, che c´era un problema di nuova definizione onomastica di questa realta´.
E´ un fatto divertente e pittoresco che Liutprando da Cremona, inviato ambasciatore dal Regno carolingio d´Italia –erede di quello longobardo- alla corte imperiale di Costantinopoli, stilo´ una importante ‘Cronaca´. In un brano, parla degli abitanti della Penisola e li chiama ‘Italienses´, coniando un nuovo termine: se ne sentiva il bisogno. Avremmo, quindi, potuto chiamarci ‘Italiesi´: invece, intorno al 1200, nasce il termine ‘Italiani´. Le prime attestazioni sono proprio di quel periodo e il nome si impone immediatamente a designare gli abitanti di tutta l´Italia.
‘Itali´ e ‘Italici´, che diventano solo nomi letterari, né ‘Romani´, né ‘Lombardi´.
Ebbene, se si cambia nome, vuol dire che se ne e´ sentito il bisogno e che c´e´ un problema di identita´, di acquisizione di una coscienza. Il carattere piuttosto recente dell´aggettivo ‘italiano´ e´ significativo per indicare la maturita´ della percezione dell´essere una particolarita´ etnico-culturale.
Da allora in poi, si impone in tutte le altre lingue europee questo nome nuovo che e´ quasi un consuntivo di una storia che, iniziata con la fine dell´Impero Romano, in parallelo con le altre realta´ europee, si e´ compiuta”.